Nel nostro paese non è raro che durante le fasi di scavo di un cantiere vengano ritrovati dei reperti archeologici.
Esiste l’obbligo, per il proprietario dell’immobile, di adempiere alle prescrizioni dettate dalle locali Soprintendenze per i Beni Archeologici (cfr. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e il D.Lgs. 163/2006).
Bisogna infatti verificare la necessità di valutazioni da parte del progettista incaricato in fase preliminare per escludere che sull’area esistano vincoli archeologici, diretti o indiretti (Codice, artt. 13, 45, 46 e 47).
Ovviamente, se il vincolo sussiste, prima di avviare l’attività di scavo dovrà essere chiesto un nullaosta.
La legge impone l’obbligo, per chi effettua lo scavo, di denunciare immediatamente qualunque rinvenimento di carattere archeologico, poiché la mancata comunicazione implica pene detentive e sanzioni pecuniarie (Codice dei Beni Culturali, art. 175) anche nel caso in cui l’area non fosse soggetta ad alcuna prescrizione.
É quindi necessario che il Direttore dei Lavori fermi immediatamente il cantiere o sospenda i lavori in quell’area del cantiere.
Avvisare immediatamente la Soprintendenza e il Comune è la prima cosa da fare, sarebbe – se possibile – anche opportuno recintare la zona interessata.
La Soprintendenza dovrà inviare un “archeologo di cantiere” che avrà il compito di studiare e prelevare il reperto archeologico.
Tali operazioni, solitamente in concertazione con l’impresa edile devono essere soggetti a valutazioni in merito all’ eventuale contenimento dei costi, soprattutto non a scapito del proprietario dell’immobile, ma anche alla tutela del patrimonio. Aspetto importantissimo è la valutazione anche dei tempi d’intervento ed al loro contenimento.
Secondo l´art. 175 del Codice chiunque non denuncia il ritrovamento di un reperto archeologico e non provvede alla sua conservazione temporanea, è punito con una sanzione che va da 310 euro fino a 3.099 euro.
Secondo l’art. 176 invece chiunque si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato è punito con la reclusione fino a tre anni (oppure sei anni se il fatto è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca prevista dall´art. 89) e con una multa che va da 31 a 516,50 euro.
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